Le attività sulla produzione degli idrocarburi in Basilicata vanno fermate.
Bisogna sostenere la petizioni online lanciata dall’Ass. ScanZiamo le Scorie che sta chiedendo
alla Regione Basilicata di aprire una moratoria per interrompere le attività sugli
idrocarburi.
Carta dei titoli Per gli idrocarburi |
Ma spieghiamo anche le
motivazioni provando a dipingere sinteticamente un quadro sul petrolio in
Basilicata, argomento che ho avuto modo di approfondire durante gli studi di laurea e sul quale continua l’attenzione.
Dal 2000, mi muovo nel
territorio lucano, consultando uffici comunali e partecipando alle iniziative
dei movimenti spontanei di cittadini.
Già diversi anni fa, con gli
amici di SOS Lucania, i movimenti e il Professor Nico Perrone si provò a sfatare il mito
dell’oro nero. Tra i movimenti, c’era anche la voce alta della conferenza
episcopale con Monsignor Agostino Superbo che lanciò un monito contro le
attività estrattive degli idrocarburi, produttrici di “sviluppo distorto” nella
Basilicata. Per Superbo i pozzi di petrolio sono delle “strutture di peccato”
per le quali è “necessario uno stop”.
Le denunce arrivavano (e
arrivano tuttora) alla testa e al cuore della gente, non erano inascoltate. Ma
il miraggio dell’oro nero, sponsorizzato dai politici di quasi tutto l’arco
istituzionale dei partiti di allora, era forse troppo ghiotto per non rischiare.
Cartoografia area Val d'Agri |
La realizzazione del progetto petrolio in Basilicata è proseguita negli anni animando un conflitto
sociale che può essere sinteticamente letto e motivato sotto diversi aspetti: le
autocisterne uscite fuori strada, le fiammate del centro oli di Viggiano (PZ),
i primi problemi nel bacino del Pertusillo, quelli al pozzo di Costa Molina, i problemi alla salute degli abitanti delle zone adiacenti all’impianto di Tecnoparco
a Pisticci (MT) in cui vengono trattatele acque reflue del petrolio, gli arresti in seguito alle indagini del Noe, il risultato del referendum contro le trivelle (il quorum è stato raggiunto solamente in
Basilicata, sic!) fino all’ultimo
episodio denunciato dalla conferenza stampa di Maurizio Bolognetti e il volo del drone di Michele Tropiano che ci ha portato a conoscenza dei colori oscuri presenti
nell’acqua del Pertusillo.
Alcuni di questi aspetti sono
stati ben raccolti nel video “Mal d’Agri” di Mimmo
Nardozza. Non mancano neanche studi e testimonianza più scientifiche raccolte
nei tenti incontro che si continuano a svolgere in Basilicata.
Tanti
aspetti che rappresentano una situazione chiara, da rendere lapalissiana ed
esaustiva allargando la riflessione al monitoraggio presente sulle attività
estrattive in Basilicata.
Il
Protocollo di intenti tra ENI e Regione Basilicata del 1998, in gran parte disatteso, prevedeva
quale misura di compensazione ambientale in relazione al progetto di sviluppo
petrolifero nell'area della Val d'Agri l’istituzione dell’Osservatorio
Ambientale “Val D’Agri”. Basta andare sul sito internet dell’Osservatorio per
capire la situazione. La sezione online sulla produzione e le royalties non offre alcun
dato ed è sempre in aggiornamento. A che scopo? Quella sul monitoraggiodelle acque superficiali e di reignezione sono inaccessibili.
Non è possibile che la Regione Basilicata
abbia gli strumenti per effettuare un reale monitoraggio sull’attività e non li
utilizzi.
Il buio intorno al petrolio è stato ben descritto anche dall’approfondimento realizzato dalla ricerca “Petrolio e biodiversità in Val d’Agri - Linee guida perla valutazione di impatto ambientale di attività petrolifere onshore”, curata da Alberto Diantini e pubblicata
dall’Università di Padova nel maggio 2016. Dalle conclusione emerge che non è
stato possibile utilizzare le linee guida per esaminare il caso di studio della
Val d’Agri al fine di avere un’analisi completa degli
impatti previsti e presenti per le attività produttive realizzate nella
concessione. “Tale risultato non è
attribuibile ad errori compiuti nella
definizione delle linee guida, bensì alla non disponibilità degli Studi di
Impatto Ambientale relativi a buona parte degli impianti di estrazione presenti
e all’impossibilità di recarsi all’interno delle aree pozzo per più dettagliate
osservazioni sul campo. È mancata quindi la possibilità di verificare se le
misure preventive e mitigative previste dagli Studi di Impatto Ambientale siano
state concretamente realizzate a livello delle aree pozzo. In qualche modo è
venuta così a mancare la possibilità di verificare la continuità tra la fase progettuale
e quella operativa, tra valutazione ex ante e monitoraggio ambientale
in itinere per individuare elementi utili a migliorare sia la performance della
VIA sia a migliorare le performance ambientali delle operazioni.” L’esame,
pertanto è stato limitato e non esaustivo. Effettuato sulla base di fotografie e osservazioni dall’esterno delle
recinzioni che delimitano le aree pozzo, la relazione tra misure adottate nella
concessione “Val d’Agri” e le linee guida. Viene segnalato inoltre “la sostanziale mancanza di trasparenza da parte
di molte pubbliche amministrazioni contattate in merito e il generale disinteresse
manifestato da Eni nei confronti della richiesta di informazioni.
Manca la trasparenza e conseguentemente
i controlli su tutta la filiera delle attività estrattiva degli idrocarburi. Potrebbe
essere interessante da parte della Regione Basilicata e delle istituzioni
competenti ai controlli la pubblicazione di una ricerca sulle informazioni che
riguardano l’attuazione da parte di Eni delle prescrizioni del 1999 individuate
dal Ministero dell’Ambiente nei decreti di pronuncia di compatibilità
ambientale per alcuni dei progetti relativi alle concessioni di coltivazione di
idrocarburi e al “Centro Olio Val d’Agri”. In questo modo potremmo verificare e
valutare l’operato di Eni in merito all’ottemperanza degli obblighi previsti
dalle prescrizioni ministeriali. Un lavoro che dovrebbe essere tenuto per tutte
le compagnie.
Sversamento di petrolio dall'oleodotto a Bernalda (MT) |
Inoltre,
dal punto di vista sanitario la situazione diventa ancora più oscura. Non ci
sono studi oltre gli annunci sull’impatto sanitario nell’area per capire se vi
sia un’incidenza negativa delle attività petrolifere sulla salute umana.
Informazioni
più precise si hanno invece sulle royalties di circa 150milioni di euro all’anno,
che secondo la relazione della Corte dei Conti del 2014 sono state spese in modo anomalo. Va
considerato che dal 2016 il gettito delle royalties si è ridotto per una diminuzione
della produzione di idrocarburi. Rischiamo di perdere un ulteriore 20% delle
royalties riconosciute sul gas in seguito ad un ricorso delle compagnie petrolifere vinto al TAR ed ora in Consiglio di Stato.
Interessante
segnalare la presentazione sugli “Idrocarburie l’occupazione in Basilicata” di Ivano Scotti dell’Università di Napoli da
cui si può trarre una riflessione anche sugli impatti occupazionali, del tutto
disattesi rispetto alle premesse, tanto che l’area interessata dalle concessioni
Val d’Agri, nel 2012 è considerata dal Rapporto Svimez sullo stato dell’economia
della Basilicata tra le “aree urbane in difficoltà”.
Nonostante la sintesi dei
riferimenti utilizzati per provare a colorare il quadro che abbiamo realizzato,
e in attesa di una valutazione istituzionale più approfondita che potrebbe
anche smentirci, possiamo desumere che il petrolio per la Basilicata e i Lucani
non ha prodotto ricchezza.
Anzi contrariamente a quanto propagandato,
le attività estrattive hanno tradito le speranze alimentando episodi che non agevolano un clima di fiducia e di dialogo fra istituzioni
e compagnia produttrice da un lato e stakeholder
dall’altro, in un contesto ormai caratterizzato da difficoltà, conflitti e
problematiche di accettabilità sociale manifestate sempre in modo più sovente.
Perché la Basilicata non è
più quella descritta nel “Cristo
si è Fermato ad Eboli” di
Carlo Levi in cui “nessuno ha toccato questa terra se non come un
conquistatore o un nemico o un visitatore in comprensivo”.
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