"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza" di A. Gramsci.

domenica 27 maggio 2012

La transizione energetica è già in atto







Imprenditrice agricola che raccoglie le malanzane prodotte
 sotto una serra fotovoltaica


 


In una intervista del 2008 riportata su rinnovabili.it, un noto economista sosteneva che per il raggiungimento degli obbiettivi di Kyoto sarebbe arrivato prima il nucleare di IV generazione delle rinnovabili; e alla domanda "Chi frena di più le fonti rinnovabili: la politica, la lobby del petrolio o quella del gas?" rispose: "Io darei la colpa principale al Secondo Principio della termodinamica; è solo una speranza che la quota di rinnovabili “nuove” nei prossimi anni possa raggiungere il 5%”.
Si è sbagliato, capita. Il nucleare tradizionale è in crisi (ultime notizie: in Giappone attualmente tutte le centrali nucleari sono spente), i progetti per il nucleare di IV generazione continuano a giacere nei cassetti degli scienziati in attesa di un'improbabile messa in opera che in ogni caso richiederebbe decine di anni di sviluppo, mentre in pochi anni le rinnovabili sono decollate. La transizione energetica dai combustibili fossili alle energie rinnovabili è già in atto nel nostro Paese, anche se alcuni fanatici del nucleare non lo vogliono ammettere, le lobby dei combustibili fossili cercano di opporsi e molti politici e amministratori non sembrano esserne consapevoli. La transizione è in atto e proseguirà lungo la strada ormai tracciata dalle direttive della Unione Europea: entro il 2020, i paesi membri della UE dovranno  ridurre le emissioni di anidride carbonica (-20%), ridurre il consumo d'energia (-20%) e aumentare la quantità di energia prodotta da fonti rinnovabili (+20%), per poi raggiungere il più ambizioso obiettivo di ottenere l'80% dell'energia da fonti rinnovabili entro il 2050.

Nella classifica della potenza fotovoltaica installata a fine 2011, l'Italia (12,5 GW) è al secondo posto preceduta dalla Germania (23,8 GW), ma davanti a Giappone (4,7 GW), Stati Uniti (4,2 GW), Spagna (4,2 GW) e Cina (2,9 G W). Il fotovoltaico installato in Italia durante il 2011 è in grado di generare, su base annua, 12 miliardi kWh, pari all'energia che avrebbe prodotto una delle quattro centrali nucleari da 1.600 MW che il precedente governo intendeva costruire. In altre parole, col fotovoltaico in un solo anno abbiamo costruito l'equivalente di una centrale nucleare, senza aspettare i 10-15 anni, che sarebbero stati necessari per costruirla davvero e, soprattutto, senza creare i numerosi e gravi problemi che il nucleare comporta. Alla fine del 2011 il fotovoltaico da solo copriva il 4,1% della domanda elettrica italiana e da molti mesi la sua immissione in rete ha fatto scendere di almeno il 10% il costo dell'elettricità nelle ore di punta, permettendo di evitare l'accensione delle centrali a gas utilizzate per coprire i picchi di consumo. Ed è proprio la lobby del gas che ora cerca di opporsi alla crescita del fotovoltaico e alla installazione da parte di Terna di accumulatori. Indagini economiche hanno anche dimostrato che gli incentivi per il fotovoltaico pesano solo marginalmente nelle bollette elettriche, mentre generano investimenti privati molto elevati che fanno entrare nelle casse dello Stato un introito Iva quasi doppio rispetto agli incentivi stessi.
Sempre nel 2011, l'eolico da solo ha generato il 4,2% dei consumi elettrici italiani. In questo settore, tuttavia, siamo lontani dai primi della classe: Danimarca (26%), Portogallo (17%), Spagna (15,9%), Irlanda (12%)  e Germania (11%). C'è spazio, quindi, per fare di più. Possibilità ancora maggiori di crescita ci sono nel settore del solare termico, visto che alla fine del 2010 avevamo installato soltanto 34 m2 di collettori ogni mille abitanti, quasi 15 volte in meno rispetto all'Austria (512  m2/mille abitanti). Lo sviluppo di questo settore potrebbe farci risparmiare il 10% del consumo di gas, una quantità pari a quella che importiamo dalla Libia, ed anche per questo la sua diffusione trova ostacoli.
Possiamo fare di più anche nel mini-idroelettrico, nel geotermico e nella produzione di biogas, con rifiuti o scarti agroalimentari, da immettere nella rete di distribuzione del metano. Nel 2011 gli occupati nel settore delle rinnovabili erano 86 mila, rispetto a 41 mila del 2010 e a questa forte crescita si contrappone un calo dell'occupazione nei settori dei combustibili fossili e dell'energia elettrica tradizionale. Infine, un'analisi dell'Istituto Althesys (Irex Annual Report 2012) prevede che lo sviluppo di eolico, fotovoltaico, mini-idro, biomasse e geotermico porterà a risparmiare da 22 a 38 miliardi di euro entro il 2030. Ecco su cosa si deve puntare per una vera crescita del Paese.

Contrariamente a quanto alcuni sostengono, non conviene insistere nella produzione di biocombustibili da biomasse dedicate. Per rappresentare un'alternativa credibile ai combustibili fossili, i biocombustibili devono (i) fornire un guadagno energetico, (ii) offrire benefici dal punto di vista ambientale, (iii) essere economicamente convenienti e (iv) non competere con la produzione di cibo. Spesso queste condizioni non sono verificate. In ogni caso, i biocombustibili possono dare solo un modesto contributo per sostituire i combustibili fossili. Si stima che se gli Stati Uniti volessero sostituire con biocombustibili prodotti con le attuali tecnologie soltanto il 5% dei loro consumi di benzina e gasolio dovrebbero utilizzare il 20% della loro terra coltivabile. Neppure l'utilizzo di nuove tecnologie per trasformare le biomasse in biocombustibili può risolvere il problema. Come fa notare il premio Nobel Hartmut Michel (Angew. Chem. Int. Ed. 2012, 51, 2516 – 2518), l'efficienza del processo fotosintetico nel convertire l'energia solare in biocombustibili è minore di 0.1% e almeno la metà dell'energia immagazzinata nei biocombustibili viene spesa per ottenerli. Per contro, l'efficienza del fotovoltaico è 15%. Considerando anche che i motori a combustione hanno un rendimento del 20% e quelli elettrici del 80%, si arriva alla conclusione che "The combination PV cells/battery/electric engine uses the available lands about 600 times better than the combination biomass/biofuel/combustion".

Facendo parte della UE, anche il nostro paese è tenuto ad adottare la strategia basata su risparmio, efficienza e sviluppo delle energie rinnovabili. Il Governo ha suddiviso il compito da svolgere fra le Regioni che, a loro volta, lo ripartiscono fra i loro Comuni. Ciascun Comune deve formulare una propria strategia energetica integrata, redigere un bilancio energetico annuale e mettere in atto un piano per capire chi consuma, dove si consuma, come si può risparmiare e quanta energia da fonti rinnovabili si può produrre nel territorio. Il sindaco e la cittadinanza, dunque, diventano i protagonisti e, allo stesso tempo, i responsabili della transizione energetica attraverso un agire locale che deve contribuire a raggiungere obiettivi su più ampia scala: regionali, nazionali e, infine, europei. In questo contesto si incardina quello che l'Unione Europea ha chiamato “Patto dei Sindaci”, attualmente su base volontaria, firmando il quale un sindaco si impegna a raggiungere obiettivi precisi entro il 2020. La politica energetica adottata dalla UE è conveniente per il nostro Paese? Certamente. L’Italia ha tutto l’interesse a ridurre i consumi di combustibili fossili che deve importare ed a sviluppare l’utilizzo delle energie rinnovabili, in particolare dell'energia solare, di cui abbonda. Il precedente governo, che puntava allo sviluppo del nucleare, non aveva colto questa opportunità, ma anche oggi ci sono ostacoli di vario tipo che rallentano lo sviluppo delle energie rinnovabili e il raggiungimento di una maggiore efficienza nei consumi energetici. Occorre stabilire con chiarezza un piano per gli incentivi, sveltire le pratiche burocratiche, eliminare gli incomprensibili (o forse fin troppo comprensibili) ritardi negli allacciamenti alla rete elettrica, ammodernare la rete stessa e, cosa molto ardua, contrastare le azioni messe in atto da lobby che vedono minacciate le loro posizioni di rendita fondate sull'uso dei combustibili fossili e sullo spreco.

Numerosi studi emersi in questi ultimi tempi confermano la bontà della politica energetica adottata dalla UE e si spingono oltre nel delineare cosa accadrà nei prossimi anni. Nel recentissimo Reinventing Fire (Chelsea Green Publishing), A.B. Lovins sostiene che la transizione dallo spreco e dall'uso dei combustibili fossili all’efficienza ed all'uso delle energie rinnovabili avrà conseguenze profonde, sarà un po' come ri-inventare il fuoco. Se opportunamente governata e sostenuta da  innovazioni tecnologiche, questa transizione ci permetterà di avere un'economia più forte, un ambiente più sano, numerosi posti di lavoro e servizi più economici e più efficienti. Gli fanno eco J.B. Moody e B. Nogrady, che in The Sixth Wave (Random House) affermano che siamo alle soglie di un nuovo ciclo, una nuova onda di innovazione, la sesta negli ultimi 200 anni: è la transizione verso una nuova economia basata su efficienza nell'uso di tutte le risorse e sul ricorso alle energie rinnovabili. Cavalcando con sapienza quest'onda, sarà possibile separare la crescita economica dal consumo delle risorse e creare un mondo più dinamico, più vivibile e soprattutto più giusto. Oggi la produzione industriale è basata sull’usa e getta: chi produce qualcosa spera che il prodotto si rompa appena scaduta la garanzia. Ma in un mondo con scarsità di risorse non sarà più così. Puntando su efficienza ed energie rinnovabili i prodotti saranno ideati, costruiti ed ottimizzati in modo che possano essere riparati, oppure usati per altri scopi, smontati e riciclati, così da ridurre al massimo i rifiuti e giungere ad un modello di sviluppo sostenibile.
Ormai è chiaro: il futuro avrà un senso soltanto in un mondo sostenibile. Raggiungere questo obiettivo è una grande sfida. Ogni nazione, regione, provincia, comune, ogni persona deve dare il suo contributo. Per vincere questa sfida è necessario anzitutto un grande salto culturale: siamo abituati a pensare che quello che abbiamo non ci basta, istintivamente vogliamo sempre di più. Dobbiamo riacquistare, come ci dice T. Prince in The Logic of Sufficiency (MIT Press), il senso del limite: passare dal vizio del  “di più” alla logica della sufficienza; vivere, cioè, secondo l’etica della sobrietà, della solidarietà e della responsabilità nei confronti della Terra e di tutti i suoi abitanti, presenti e futuri. 

Scritto inviato ad un gruppo di colleghi dell'Accademia dei Lincei da  Vincenzo Balzani, Professore del Dipartimento di Chimica “G. Ciamician", Università di Bologna
vincenzo.balzani@unibo.it


Nessun commento: