"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza" di A. Gramsci.

lunedì 14 aprile 2025

State comodi, per i prossimi anni ancora aumenti del prezzo del gas

Sembrava a molti che il peggio fosse passato ed invece non arrivano ancora buone notizie sul fronte del costo della bolletta. Gli aumenti del gas e dell’energia elettrica sembrano non terminare almeno per un altro paio di anni, fino al 2026.
La previsione è contenuta nel Documento di finanza pubblica (Dfp), in uno degli scenari alternativi nel quale si prefigura “un’evoluzione dei prezzi delle materie prime energetiche meno favorevole rispetto allo scenario di riferimento”, con un aumento “sia del petrolio sia del gas dal terzo trimestre del 2025 a tutto il 2026”, più elevato rispetto allo scenario di riferimento di, rispettivamente, 10 dollari e 10 euro. Le quotazioni del petrolio sarebbero dunque pari a 77,5 $, in media, nel 2025 e a 78,8 $ nel 2026, mentre quello del gas sarebbe pari a 50,6 € in media nel 2025 e a 46,8 € nel 2026”. Un prezzo previsto molto più altro rispetto ai 10 € del 2021. Nonostante gli scenari infelici, il decisore politico (Governo e maggioranza parlamentare) non cambiano strategia energetica. Dopo il fallimento del Piano Mattei e dell’hub del gas made in Italy, avendo deciso di acquistare per un lungo periodo il gas degli americani (che Mattei sfidò fino alla morte per perseguire l’autonomia energetica della nostra Nazione), si lascia attaccati al tubo del gas il Paese continuando a demonizzare ingiustamente la transizione energetica come il male dei mali di questa crisi globale, unica soluzione invece per rendere il sistema energetico più equo e per ridurre strutturalmente i costi energetici per le famiglie e le imprese. In tal modo la produzione industriale continuerà a recedere (è già negativa da 25 mesi) mentre l’inflazione eroderà i redditi, in particolare per quelli più vulnerabili costretti a stringere la cinghia. Ma se da una parte si tira la cinghia dall’altra gli operatori delle fossili attivi nella nostra Patria continuano a stricarsi le mani considerato che con molta probabilità gli utili del 2024 (sopra i 20 miliardi di euro) saranno garantiti anche per gli anni futuri.

martedì 1 aprile 2025

La patria rischia di rimanere senza giovani patrioti

E’ una vera emergenza. I giovani formati continuano ad espatriare vero altri Stati alla ricerca di una migliore collocazione rispetto a quella possibile nella nostra patria. Il boom degli espatri è stato registrato in questi giorni dall’Istat. Sono oltre 191 mila gli abitanti che nell’ultimo anno deciso di partire dall’Italia. Il numero più alto dal 2000. Di questi, 156 mila sono italiani, in un anno +36%. La maggior parte di quelli che cercano fortuna sono under 40.
Un vero peccato aggravato dal fatto che tra chi sceglie di lasciare l'Italia, il 48% ha una laurea. Si formano nelle Università italiane ma vanno a valorizzare la loro conoscenza all’estero. Un elevato costo per l’Italia che si trasforma in un lauto beneficio per chi accoglie i nostri giovani all’estero. Un fenomeno da non sottovalutare se vogliamo garantire la prosperità del nostro Paese. Un vero bisogno che richiede l’intervento urgente da parte del Governo e delle altre Istituzioni per favorire l’introduzione nel mondo del lavoro dei tanti giovani, in particolare nelle aree del sud, in cui seppur il clima e il temperamento e mite ancora gravano limiti che devono essere superati. 
Tratto dall'articolo "Giovani in fuga all'estero, +36% in un anno" di Russo Paolo, pubblicato oggi su La Stampa.

lunedì 31 marzo 2025

Amiamoci e partite

Quanto sono ridicoli i nostri rappresentanti politici in questo periodo. Ce ne fanno sentire tante. Non ultima quelle del Presidente della Regione Basilicata Vito Bardi che incontra il Ministro della Difesa Crosetto per mettere al centro del confronto “la possibilità di attrarre nuovi investimenti in Basilicata nei settori strategici della Difesa e dell’Aerospazio”. Una idea scellerate che deve trovare eventualmente una ferma opposizione. Ma dove si dovrebbero realizzare? Saranno i numerosi cinghiali che attrarranno queste nuove industrie? Quali sono le industrie Lucane che potrebbero attrarre investimenti per le guerre?
A parte l’ASI di Matera che svolge un ruolo strategico per l’osservazione spaziale internazionale non vedo la presenza di infrastrutture pronte e capaci di attrarre qualcuno se non i soliti colonizzatori che da anni spremono il territorio Lucano. Lo slancio di Bardi sembra più un’azione per attrarre attenzione al fine di distrarre per coprire i gravi scempi che sul territorio Lucano alcuni importanti operatori economici stanno compiendo. Il mercato delle armi non aspetta Bardi, ne tantomeno i cinghiali Lucani. Il mercato delle armi è più complesso di quello che può essere capace di offrire un territorio come la Basilicata. Per avere una dimensione consiglio la lettura di questo articolo scritto da Nicolò Geraci “La produzione militare in UE”, pubblicato dall’Osservatorio Conti Pubblici Italiani.

sabato 1 marzo 2025

Un’altra toppa di Meloni sul caro energia: come mettere l’ennesimo cerotto su una gamba di legno

Articolo pubblicato dalla rivista online ITALIA LIBERA.
Superate le incomprensioni tra la Premier Meloni ed il Ministro delle Finanze Giorgetti, il governo ha voluto rimettere, con un decreto legge, una nuova toppa sulle bollette. Sono stati annunciati interventi per oltre 3,5 miliardi di euro, di cui 1,6 mld per rafforzare il sostegno del bonus sociale di 3 mesi per le famiglie, 1,4 mld per esentare le imprese dagli oneri e 600 milioni per le grandi industrie energivore. Le risorse per la copertura saranno recuperate nuovamente dalla collettività visto che non viene inserita una tassazione sulle rendite e gli extraprofitti degli operatori del mercato dell’energia fossile. Le poche misure attivate non sono state accompagnate dagli interventi strutturali necessari per ridurre il prezzo dell’energia. Per tali ragioni, possiamo ritenere l’iniziativa di scarsa efficacia visto che non si interviene sulle cause reali che sono presenti nella decisione espressa del governo di promuovere l’impiego del gas nel sistema energetico del Paese, con la volontà addirittura di realizzare un hub nel territorio nazionale. Da inizio legislatura infatti, in nome del “corruttore incorruttibile” Enrico Mattei, la Premier e i suoi ministri hanno approvato misure per aumentare la produzione nazionale di gas senza risultati e concluso accordi con numerosi Paesi con l’idea di stoccare il gas sul territorio italiano e successivamente rifornirlo ad altri Paesi europei. Un progetto che molto probabilmente non vedrà mai luce, ma che viene promosso nella piena consapevolezza che proprio nel mercato del gas vengono permesse le speculazioni che arricchiscono con rendite inframarginali gli operatori nel mercato dell’energia, facendo così aumentare i prezzi della bolletta pagati dai consumatori più deboli. Non è un caso che tra il 2021 e il 2023 gli operatori del settore hanno incassato utili per circa 19 miliardi all’anno, ciò significa un più 175% rispetto all’anno pre-pandemico. A questi dovremmo aggiungere i lauti risultati delle utility. Dal bilancio approvato dall’ENI in questi giorni è stato riconosciuto un utile netto per la compagnia di idrocarburi pari a 5,3 miliardi di euro. Se da un lato c’è chi guadagna lautamente dall’altra parte c’è chi paga. Per l’Autorità per l’energia nel primo trimestre del 2025 la bolletta elettrica per i vulnerabili aumenterà del 18,2 per cento, mentre il valore della materia prima del gas nel servizio di tutela della vulnerabilità dall’ottobre del 2024 è incrementato del 12,4 per cento. L’Associazione Federconsumatori stima aumenti nel 2025 per circa 1.000 euro in più a famiglia. Per le imprese Nomisma ha calcolato per il 2025 una crescita del costo dell’elettricità del 15 per cento e per il gas del 14 per cento. Anche le cause intrinseche di tale nuovo aumento iniziato dalla primavera del 2024, come quelli precedenti, derivano dalla struttura del sistema energetico europeo e dalla relativa dipendenza dal gas, per cui l’Europa e l’Italia, pur disponendo di un sistema di infrastrutture di importazione diversificato, non sono riuscite a sottrarsi alle dinamiche globali, non dominabili, degli aumenti di prezzo. I costi dell’energia nel mercato del giorno prima (Mgp), ossia dove i produttori, i grossisti e i clienti finali possono vendere o acquistare energia elettrica per il giorno successivo, da fine dicembre ad oggi hanno avuto una media del Prezzo unico nazionale di 150 euro a megawattora rispetto ai 38,92 del 2020, mentre il prezzo medio del gas sul mercato infragiornaliero si aggira intorno i 50 euro a Megawattora, rispetto agli 11,4 del 2021. In solo 4 anni il prezzo dell’energia è più che triplicato. Un differenziale che non solo contribuisce al calo della produzione industriale ma alimenta l’insicurezza sociale nel Paese con famiglie e imprese sempre più soffocate. Fortunatamente i livelli di domanda nazionale per il gas sono diminuiti del 19% dal 2021 al 2024 altrimenti gli effetti sui prezzi potevano essere ben più alti e pericolosi. Tali oscillazioni sono legate al prezzo del gas, che rimane il principale fattore nella formazione del prezzo dell'elettricità a causa del cd meccanismo del system marginal pricing. In Italia il gas naturale, nonostante rappresenti circa il 40% del mix nella generazione energetica, stabilisce il prezzo dell’elettricità nel 90% delle ore (in Europa il gas copre il 20% della produzione e determina il prezzo per il 63% delle ore). Il nostro Paese è al primo posto della classifica europea per numero di ore in cui è il gas a fissare il prezzo e conseguentemente rimane tra i primi posti nel podio di chi paga l’energia più cara in Europa. Il governo in questi anni per far fronte a tali aspetti ha sostenuto politiche che hanno tenuto al centro il gas con conseguenze che ora paga tutto il Paese. Ha rafforzato la dipendenza energetica dal gas e verso i suoi produttori rendendo più insicuro il Paese. Dall’altra ha sfavorito tutte le azioni e le misure che avrebbero potuto ridurne i suoi consumi. Con il decreto legge Agricoltura, il decreto sulle Aree idonee e il testo unico delle rinnovabili stanno ostacolando le autorizzazioni per la costruzione di nuovi impianti rinnovabili oltre a farne crescere i costi per lo sviluppo. Il pieno disinteresse della maggioranza per questo settore è confermato anche dalla procedura di infrazione della Commissione europea sulla direttiva rinnovabili (REDIII) confermata la settimana scorsa. Le aspettative tra gli operatori delle rinnovabili non sono brillanti. I risultati della gestione del governo Meloni sono già visibili: siamo passati dai 760 MW installati a dicembre ai 420 MW installati a gennaio. Ricordiamo che ogni 4 GW di rinnovabili immessi nel sistema energetico eliminano 1 mld di metri cubi di gas. Solo raggiungendo gli 8/9 GW di rinnovabili individuati dagli obbiettivi europei al 2030 sul clima e l’energia si potrebbero ridurre circa 10 mld di metri cubi di gas, con un enorme beneficio economico per tutto il sistema Paese. Il governo ha anche bloccato gli investimenti per ridurre i consumi di energia, in particolare il sostegno per la riqualificazione energetica degli edifici. Con la scusa che è tutta colpa del superbonus, paradossalmente, ha smantellato le misure che hanno sostenuto l’economia anche in periodi di forte crisi. Ricordiamo che solo per gli edifici pubblici spendiamo per i consumi di energia circa 50 mld anno di bolletta. Consumi che potrebbero essere ridotti velocemente del 30% con un piano di riqualificazione energetica degli edifici pubblici, creando lavoro e molto altro, non solo risparmi in bolletta. Tra gli altri aspetti è importante rilevare che il governo non ha saputo cogliere neanche le opportunità contenute nel PNRR per la riduzione dei consumi di famiglie e imprese. Ormai, quasi certamente, non si riuscirà ad impiegare i 7.5 mld per la misura transizione 5.0 e 2.2 mld per la creazione di comunità energetiche rinnovabili. Attualmente non è stato speso nemmeno il 10% delle misure che sono in fase di scadenza nei prossimi mesi. Un vero peccato se pensiamo che l’ultimo provvedimento è intorno ai 3 mld e se consideriamo i racconti delle periferie in cui le famiglie devono rinunciare a riscaldarsi e le attività produttive ad abbassare le serrande. Per concludere possiamo affermare che la scelta del governo di contrastare a tutti i costi gli obbiettivi europei sul clima e le politiche di decarbonizzazione è la principale causa del caro energia ma è anche la principale causa delle rendite degli operatori che governano questo sistema energetico dominato dal gas. Se non si porranno velocemente soluzioni strutturali alle difficolta degli utenti la sicurezza sociale del Paese correrà pericoli molto più gravi rispetto a quelli propagandati dei rave party, dei muri imbrattati dai ragazzi di Ultima Generazione o dal fenomeno dell’immigrazione che la Premier diceva di risolvere banalmente con il “blocco navale”. Giorgia ci faccia capire da quale parte vuol mettere il governo, trovi soluzioni strutturali per garantire la sicurezza del Paese ed eviti di sostenere tecnologie nucleari insostenibili e ancora non commerciali. Ci dica se vuol continuare a garantire le rendite e i profitti dei pochi. Spinga sull’innovazione eliminando gli ostacoli alla produzione di energia rinnovabile e facilitando la realizzazione di interventi per la riduzione dei consumi energetici. Solo in tal modo potrà aspirare a rendere la nostra Nazione autonoma energeticamente e indipendente politicamente e realizzare concretamente il grande sogno di Enrico Mattei, che non si è mai messo alla corte dello zio Sam.

lunedì 10 febbraio 2025

L'insostenibile bluff del nucleare

Articolo pubblicato dalla rivista online ITALIA LIBERA.
Dopo i numerosi annunci, il Ministro per la sicurezza energetica del Paese Pichetto Fratin ha presentato lo schema di disegno di legge contenente la delega al Governo in materia di energia nucleare sostenibile. Ora rimane l’intrepida attesa che gli uffici degli affari giuridici di palazzo Chigi svolgano l’esame istruttivo affinchè possa essere adottato dal Consiglio dei Ministri ed inviato al Parlamento. Lo schema proposto è un libro di narrativa, una sorta di delega in bianco alla Premier Meloni che ha il compito non facile di entrare nei dettagli e nelle pieghe della regolazione. Le sei paginette del disegno di legge e la relazione illustrativa si leggono in modo semplice, scorrevole, essendo prive di riferimenti normativi in materia, a parte il richiamo alla direttiva 2011/70 Euratom, sulla quale pende una procedura di infrazione comunitaria sull’Italia per la gestione impropria dei rifiuti radioattivi. Per comprendere quanta disinformazione e propaganda ci sia intorno alla proposta del Ministro è sufficiente leggere solo il primo comma del testo legislativo nel quale viene descritta la finalità della delega che vuol conseguire la “sicurezza e l’indipendenza energetica del Paese e del contenimento dei costi dei consumi energetici”. Finalità che palesemente non potranno mai esser raggiunte in quanto insostenibili, che caratterizzano l’articolato come un vero e proprio bluff sul nucleare. Siamo tutti informati che dovremmo eventualmente importare da altri Paesi completamente il combustibile nucleare necessario per alimentare le centrali nucleari cosi come siamo consapevoli che la gran parte dei fornitori ruota intorno alla costellazione sovietica e cinese. Rispetto al contenimento dei costi delle bollette è utile rammentare che Edison, Ansaldo Nucleare e TEHA Group, in un report pubblicato a settembre 2024, prevedono che con 20 SMR, la tecnologia che intendono impiegare per rilanciare la produzione di energia nucleare in Italia, potrà essere prodotta elettricità ad un costo tra 90 e 110 €/MWh, affermando che questo li renderebbe competitivi rispetto al fotovoltaico con storage. Un’affermazione facilmente contestabile per GB Zorzoli, storico esperto di energia, secondo cui la previsione di costo è forzata perché assume, per il nucleare, un capacity factor al 95%, cioè 8.322 ore di funzionamento a piena potenza in un anno, mentre solitamente per le centrali nucleari si assume un fattore di capacità dell’80%, cioè circa 7.000 ore. In particolare, diversamente da quanto si afferma nel report, dalle analisi sugli LCOE del Fraunhofer Institute viene illustrato che il fotovoltaico con batteria, cioè con produzione programmabile, oggi costa già meno del nucleare convenzionale e anche di quel che potrebbero costare, forse, soluzioni come gli SMR un domani. Prendendo per buono l’LCOE previsto da TEHA per i piccoli reattori futuri, cioè come sopra indicato tra i 90 e i 110 €/MWh, e confrontandolo con le analisi del Fraunhofer Institute, ci risulta che il fotovoltaico con batterie, in grandi impianti a terra, già nella prima metà del 2024 ha un LCOE tra 60 e 108 €/MWh, più conveniente degli SMR. Le stime dell’Istituto modellate sulla Germania migliorerebbero se parametrate sull’Italia, considerato che abbiamo il 20-30% di radiazione solare in più. Teniamo conto inoltre che le aste tenute dal Gestore dei Servizi Energetici a fine ottobre per impianti fotovoltaici ed eolici sopra il MWh hanno riconosciuto al soggetto responsabile del progetto un prezzo di circa 67 euro al MWh. Rispetto a questi numeri come possiamo definire sostenibile il nucleare? Chi pagherà la sostenibilità economica del nucleare? L’insostenibilità dell’impiego della tecnologia nucleare sul territorio nazionale è rafforzata anche per le cose che non sono state scritte nel disegno di legge. Non si tiene in alcun modo conto dell’importanza della trasparenza e della partecipazione nel processo decisionale dei territori coinvolti. Forse pensano di imporre la scelta di costruire sul territorio centrali con al loro fianco depositi di scorie nucleari attraverso procedure autorizzative centralizzate, ignorando il potere delle autonomie locali garantito dalla Costituzione e forse anche con l’uso della forza. Sarebbe un’ipotesi scellerata, che trova già diversi ostacoli sui territori, e sulla quale inciampò anche il Governo Berlusconi nel 2003, che fu costretto dalla civile protesta di Scanzano a dover cambiare idea sull’individuazione del deposito geologico di scorie nucleari. Lo schema di legge proposto non tiene presente che la volontà di installare centrali nucleari nel territorio nazionale, nonostante sia sostenuta da una massiccia campagna di propaganda sull’opinione pubblica, da diverse iniziative parlamentari e dal governo, riscontra l’opposizione bipartisan delle forze politiche: si è già espresso contro il Comune di Latina, feudo del centro-destra; in Veneto, invece, il dibattito emerso per realizzare una centrale a Mestre, in prossimità di Venezia, vede la contrarietà del Presidente della Regione Luca Zaia. Il Governo farebbe un grave errore se escludesse dal processo decisionale la popolazione territoriale e le sue Istituzioni rappresentanti, essendo loro per vicinanza a fare i conti con i problemi di sicurezza e l’insostenibilità ambientale che ancora questa tecnologia non ha risolto. Se questa fosse la scelta del Governo, si potrebbe manifestare, oltre alla campagna referendaria, anche l’emergere di conflitti sociali sui territori più o meno latenti, sostenuti da compagini politiche diversificate che pongono al centro giustamente l’interesse territoriale, cosi come accadde a Scanzano. Vedremo nei prossimi giorni come e se il testo sarà modificato per essere inviato al Parlamento, impegnato alla Camera dei deputati in commissione industria con l’indagine conoscitiva ancora in corso. La riflessione esposta ricade in un momento storico caratterizzato da un nuovo aumento dei livelli di prezzo delle bollette dell’energia. In questo contesto genera un certo scalpore l’approccio propagandistico assunto da alcune corporazioni storiche come quella di Confindustria che addirittura pensa di costruire una centrale nucleare in ogni sito industriale. Un approccio da tifoso che non rende costruttivo il dibattito per nessuno, oltretutto su una tecnologica che attualmente non esiste in commercio. Il percorso è ancora lungo. Per gli ottimisti dell’Associazione Italiana Nucleare dobbiamo aspettare ancora 10 anni per il ritorno del nucleare nel nostro Paese. Intanto, oggi mentre scriviamo, le bollette continuano ad aumentare. Per milioni di cittadini ed imprese il costo del gas è ancora sopra 52 euro al MWh (circa il triplo per i consumi elettrici), nel silenzio generale della maggioranza e del Governo che perseverano nel non dare alcuna soluzione.