"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza" di A. Gramsci.

mercoledì 26 aprile 2017

Continuo a sognare l’Africa

È notizia di questi giorni la sparatoria ai danni di Kuki Gallmann, la donna che mi ha fatto sognare l’Africa. Tra un viaggio della speranza in autobus, il rituale quotidiano di pulizia dallo smog e il bisogno disperato di silenzio mi capita spesso di pensare a lei, e non è retorica. In queste ore il pensiero va non solo alle sue condizioni di salute, ma anche alle denunce di violenze e pericolo che la stessa Gallmann aveva fatto perché la situazione lì, in quel posto dove spesso sogno di trasferirmi, è tragica. In Laikipia, la povertà e la ricchezza siedono l’una accanto all’altra. Meno di 50 individui possiedono il 45 per cento della terra di Laikipia, per lo più allevatori della fauna selvatica. Pastori affamati e assetati sono stati cacciati dalle loro terre per mancanza di pascoli e acqua.
E si sa che dove c’è carenza di risorse si generano disperazione e violenza.

 
E siamo alle solite, accecati dalle nostre miserie quotidiane e dalla necessità di dominare il mondo, non ci rendiamo che buona parte della popolazione mondiale è allo stremo.
La lista dei conflitti per l’acqua è in crescita in zone dove risorse come l’acqua sono diventate il bene più prezioso e la gestione e l’accesso sono controllate con le armi.

Probabilmente non andrò mai a vivere in Africa, ma cerco di vederla in ogni cosa: negli occhi dei migranti, nell’acqua che bevo, nel cibo che mangio…così quei conflitti diventano anche un mio problema (da risolvere).

Pubblicato da Mariagiovanna Laurenzana - Blog Econormiamoci

venerdì 14 aprile 2017

Scorie nucleari senza controllo: si accumulano rischi alla sicurezza, costi in bolletta e probabili licenziamenti

Siamo quasi alla paralisi dei lavori sulla messa in sicurezza dei lasciti radioattivi. Un
rallentamento che determina i ritardi nei crono programmi per lo smantellamento dei centri nucleari italiani. Con la conseguenza che aumentano i rischi per la sicurezza dei cittadini.

Il motivo come al solito sembra essere legato alla burocrazia anche se dietro questo disfunzionamento potrebbero celarsi interessi economici e politici enormi. 

Certamente non è comprensibile l’indifferenza e il disinteresse della politica verso un argomento cosi delicato, pagato con circa 150 milioni di euro in bolletta ogni anno come un pozzo senza fine.

Ma cerchiamo di capire perché i lavori si stanno fermando.


Attualmente il controllo e le autorizzazioni per le attività di smantellamento degli 8 centri nucleari, di altri depositi come il Cemerad e delle altre attività radiologiche legate al settore sanitario ed industriale, sono tenute dal dipartimento nucleare dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) che dispone di uno scarso numero di personale.

 
Mappa centri nuclari in Italia
Solo 35 persone, con elevata un’età media, dovrebbero controllare tutte le numerose attività di smantellamento realizzate dalla Sogin. 


Ai fini del recepimento delle direttive europee, nel 2014 l’Italia adotta le disposizioni per rinforzare l’attività del dipartimento nucleare dell’ISPRA che avrebbero dovuto essere trasferite nel Ispettorato Nazionale per la Sicurezza Nucleare (ISIN), un ente con la piena di autonomia e indipendenza sul controllo.


L’ISIN è composta da un direttore ed una consulta. Dopo la figura sulla nomina di Agostini, il Governo ad ottobre 2016 propone la nomina di Maurizio Pernice (direttore), Stefano Laporta, Laura Porzio, Vittorio d'Oriano (componenti della consulta). Nonostante il via delle alle commissioni parlamentari competenti ad oggi dell’ISIN non si sa più nulla o quasi.


Sappiamo che per renderlo operativo, oltre ad attendere il decreto di pubblicazione delle nomine è necessaria una nuova legge. Serve una norma che inquadri il personale, le tipologie di assunzioni, dei trasferimenti ed altro. 


Fino a quando non ci sarà una nuova legge tutto rimarrà come prima: si accumuleranno i

ritardi, i rischi per la sicurezza e i costi. Una situazione intollerabile che non può lasciarci indifferenti!

Se non vengono autorizzati i progetti di smantellamento si rallentano le attività di messa in sicurezza di Sogin (mettendo a rischio anche l’impiego del personale) mentre vengono dilatati i costi. Questo non avviene solamente al centro Itrec di Rotondella (MT) ma anche negli altri centri.


In questa situazione esplosiva sarebbe opportuno che il Governo e il legislatore non perdano altro tempo per intervenire.

venerdì 7 aprile 2017

Giovani, territorio e sostenibilità sono il vero oro per uscire dal petrolio

Giovani, paesaggi, ambiente e natura sono le reali risorse del territorio Lucano.

Intorno alla loro dimensione, affiancata da un'offerta di servizi che deve essere rafforzata, si sta realizzando in Basilicata lo sviluppo di un'economia locale che produce ricchezza e benefici.

Non è una novità!

Non dobbiamo guardare al Trentino o ad altre Regioni per capire. Più tosto dobbiamo girarci intorno e osservare il nostro territorio. Scopriremo che nella nostra piccola Regione Basilicata sono presenti numerose esperienze di resistenza e di avanguardia giovanile collegate online con il resto del mondo grazie alla rete. Per i naviganti è facile conoscerle. Sono strutture recettive, commerciali ed artigiane fortemente legate al territorio e all'agricoltura. Nessuno ancora le ha censite per far capire e far conoscere il valore e l'importanza. Il dato certo: sono in aumentano con gli anni.

Sono attività economiche multifunzionali guidate da giovani che non sono andati via eche offrono in forma diversa e sostenibile tutto quello che il territorio può offrire: bellezza, paesaggio, cultura, sapori, ambiente, familiarità e silenzi. Risorse uniche, ricercate per chi scappa dalla vita quotidiana cittadina sempre più inquinata dallo smog.

Un patrimonio umano ed economico destinato a crescere se preservato dall'inquinamento.

Il potenziale inoltre è enorme. Come si legge dall'articolo "Gli Italiani sono green. Temono lo smog", pubblicato il 31 marzo 2017  dall'Avvenire, nel quale si descrivono i dati di una ricerca del terzo osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile di LifeGate, realizzata in collaborazione con Eumetra Monterosa, presentato a Milano. Sono circa 9,6 milioni (19%) gli italiani che conoscono il turismo sostenibile. E 3,5 milioni acquisterebbero una vacanza "green" pagando di più. Un numero che aumenta in modo esponenziale se tenessimo presente non solo gli italiani.

E i politici e le istituzioni regionali ci stanno pensando?

La gran parte sono distratti da questi aspetti. Sembrano per lo più concentrati sulla gestione e la valorizzazione di risorse che rischiano di compromettere la salute del territorio. Risorse esauribili nel breve periodo, senza capire che il vero oro sul quale porre attenzione in Basilicata non è il petrolio ma i suoi giovani e il suo territorio.E allora a cosa aspettiamo? Facciamolo capire.




martedì 4 aprile 2017

Da Trump un attacco totale all’energia pulita




Pubblichiamo un articolo di Ryan Schleeter – Greenpeace USA, pubblicato su La Stampa

La Casa Bianca ha appena messo sul patibolo l’energia rinnovabile, il lavoro e il futuro della protezione del clima.
Lo scorso 28 marzo Donald Trump ha emesso uno dei suoi ordini esecutivi più dannosi per l’ambiente. E sempre in questi giorni ha dato un’accelerata alla costruzione degli oleodotti Keystone XL e Dakota Access. Inoltre Trump vorrebbe togliere fondi all’EPA, l’Environmental Protection Agency. Mosse, insomma, abbastanza indicative.

Con il suo ordine esecutivo, Trump ha dato istruzioni proprio all’EPA affinché annulli o riesamini alcuni dei più importanti provvedimenti in materia clima presi da Obama, come la limitazione delle emissioni di gas serra delle centrali elettriche, il blocco delle concessioni per miniere di carbone sul suolo pubblico e importanti misure di tutela per le comunità colpite dai cambiamenti climatici.
Tuttavia, nonostante tutti questi suoi sforzi a sostegno dell’industria delle fonti fossili, il massimo risultato che Trump può ottenere con queste sue politiche è ritardare l’inevitabile transizione già in atto verso l’energia pulita. Transizione che non può essere più fermata.

E mentre il Presidente statunitense decide questo, occorre ridurre al minimo i disastri che la sua amministrazione infliggerà al clima e alle comunità. È questo ciò di cui ci dobbiamo preoccupare.

SOVVENZIONI AL SETTORE DEL CARBONE
Durante il suo mandato, il Presidente Obama ha usato il potere esecutivo per compiere passi in avanti verso il graduale abbandono delle fonti fossili, in favore dell’energia pulita e delle rinnovabili. Il Clean Power Plan e la sospensione delle concessioni per le miniere di carbone sono stati due dei marchi più distintivi della sua eredità politica sul clima. Adesso però Trump sta cancellando entrambi i provvedimenti.

Il Clean Power Plan regolava le emissioni di CO2 provenienti dalle centrali elettriche statunitensi, predisponendo l’obiettivo di ridurle del 32 per cento entro il 2020, rispetto ai livelli del 2005. Nel frattempo, la sospensione delle concessioni di miniere di carbone aveva interrotto la vendita di suolo federale alle compagnie del settore, fino a che i piani estrattivi di carbone degli Stati Uniti non sarebbero stati rivisti tenendo conto degli impatti sul cambiamento climatico.

Con il tentativo di annullare entrambi i provvedimenti con un singolo ordine esecutivo, Trump sta mettendo perfettamente in chiaro come la sua amministrazione anteponga gli interessi dei giganti delle fonti fossili prima dei cittadini statunitensi. Ma siamo scettici sul reale successo di queste politiche, e lo sono anche i mercati globali di energia.

La rapida crescita dell’occupazione nel settore dell’energia pulita – insieme al declino economico dell’industria del carbone, nonostante i sussidi elargiti anche sotto l’amministrazione Obama – mostra come Trump stia andando contro la scienza e in direzione contraria ai trend economici. Le rinnovabili già oggi negli Stati Uniti stanno generando più posti di lavoro delle fonti fossili, e in più salvaguardano la nostra salute e il clima per le prossime generazioni.

I COSTI PER LE COMUNITÀ AMERICANE
L’ordine esecutivo di Trump non è solo miope, ma avrà anche impatti devastanti per le comunità a causa dei cambiamenti climatici e delle attività di ricerca ed estrazione di combustibili fossili.

La convinta negazione dei cambiamenti climatici da parte della nuova amministrazione sta privando gli statunitensi dell’aiuto di cui hanno disperatamente bisogno per proteggere se stessi dai terribili effetti dei cambiamenti climatici. Le comunità più vulnerabili non possono permettersi altri uragani come Katrina o Sandy (o Matthew, Ike, Andrew o Irene).

Elargendo sussidi al settore del carbone, Trump sta solo ritardando la transizione verso un’economia più pulita e sostenibile per i lavoratori colpiti dal fallimento di questa industria. Ripristinare le concessioni di miniere di carbone sul suolo pubblico non restituirà posti di lavoro nel settore (ampiamente meccanizzato), non garantirà vantaggi per i contribuenti, e non accelererà la transizione verso un’economia energetica pulita. Tutto questo porterà solo a un avvenire più doloroso per i Paesi che estraggono carbone e alimenterà la crisi climatica.

E come se non bastasse, Trump sta anche attaccando la stessa idea che il cambiamento climatico comporti dei costi (ricordate: è così). Insomma, sta dicendo alle agenzie federali di non assumersi responsabilità per i costi sociali del carbone, che potrebbero pesare sull’economia statunitense per miliardi di dollari.
Come stiamo combattendo questa battaglia

Come già successo con altri provvedimenti dell’amministrazione Trump, anche questo ordine esecutivo verrà molto probabilmente portato in tribunale. Considerati precedenti recenti (vedi il “Muslim ban”), possiamo sperare che questo attacco al clima e all’ambiente non regga. Ma se dovesse andare in porto, dobbiamo reagire.

E lo faremo anche il prossimo 29 aprile – centesimo giorno dell’amministrazione Trump – quando si terrà a Washington la People’s Climate March , una grande manifestazione per lavoro, giustizia e clima.

sabato 1 aprile 2017

Attaccati al TAP! A chi serve il tubo?



La civile e pacifica protesta pugliese contro un’opera inutile e dannosa per l’ambiente e l’economia è giusta. La “protesta di Scanzano” docet.

Il Tap (Trans Adriatic Pipeline) è il progetto di un gasdotto che dovrebbe portare il gas dal Mar Caspio all’Europa attraverso la Turchia, la Grecia e l’Italia, partendo dall’Azerbaijan. L’Unione europea ha riconosciuto al Tap lo status di “Progetto di Interesse Comune”. Vedono l’opera come strategica per l’Italia e per l’Europa cosi come il malaffare, che dietro questa enorme infrastruttura vuole curare i propri loschi affari. Già il Guardian nell’edicole dei giorni scorsi ha riportato l’esistenza di un rapporto di CEE Bankwatch sugli appalti per la costruzione del TAP, alcuni dei quali sarebbero stati aggiudicati da imprese (italiane) in odore di criminalità organizzata. 

Il costo dell’opera è stimato dai 4,5 ai 6 miliardi di euro. Un capitolo che rientra con un  finanziamento di circa 2 miliardi di euro che il consorzio ha chiesto ormai circa due anni fa alla Bei (Banca europea per gli investimenti) e che, secondo quanto risulta, è tuttora in fase di istruttoria.

Per gli esperti di geopolitica energetica come Roberto Ferrigno, gli investimenti del progetto diventeranno “spiaggiati”, cioè non ammortizzabili, in seguito alla caduta della domanda trainata dalla decarbonizzazione. Infatti tutti gli  scenari futuri in linea con i target europei e gli obiettivi di Parigi sul clima mostrano che la domandadi gas in generale calerà. Le rinnovabili e l’efficienza energetica stanno già oggi contribuendo in modo significativo alla sicurezza energetica europea riducendo il bisogno di importazioni di gas. L’Agenzia Europea dell’Ambiente stima che la produzione di energia da impianti rinnovabili installati negli ultimi 10 anni ha permesso un risparmio annuale di gas equivalente al doppio della capacità d’importazione del corridoio sud (o 63% della capacità d’importazione di Nord Stream 2). Ecco un grafico che mostra questo.



Tra l’altro, la “decarbonizzazione”, ai fini dell’effetto serra, non può essere perseguita con il gas proveniente da migliaia di km (3500 nel caso Tap) essendo chiaro che le inevitabili fughe/perdite ed i consumi per il pompaggio pesano in una valutazione a “ciclo completo”,  calcolate secondo le normative  EPIA americane, fino ad uguagliare gli effetti (“serra”) del petrolio/gasolio (sempre a ciclo completo) che si vorrebbe sostituire in Italia col gas, sia nei trasporti che nel riscaldamento civile. Come noto una molecola di gas naturale equivale a 22/25 molecole di CO2 ai fini dell’effetto serra.

Alle considerazioni già evidenziate, aggiungiamo alcune riflessioni scambiate con Ugo Rocca, esperto di politiche energetiche, secondo il quale il Tap dovrebbe portare circa 19 mld di mc/anno, attorno al 2020/21, di cui solo 7 (o 9 secondo fonti più ottimiste) destinate in Italia. Tale portata, si ipotizza, potrà aumentare fino a 30 mld mc/anno dopo il 2030, di cui sempre solo una parte per l’Italia. Ebbene in ltalia si consumano circa da  50 a  70 mld mc/anno (70 negli anni di “punta”) mentre la  portata totale già disponibile in Italia con i metanodotti esistenti (da Russia, Algeria, Nord Europa) supera i 130 mld mc/anno. 

Non risulta pertanto utile il Tap, ma ne viene difesa la “differenziazione” delle fonti di approvvigionamento; di scarsa utilità secondo alcuni considerando sia i numeri citati sia che il gas proviene da campi di dimensioni non elevate (durata 10 anni secondo alcune fonti). Infatti già si ipotizzano collegamenti futuri con altri  gasdotti legati alla Russia come denunciato dal Senatore del M5S Gianni Girotto: la diversificazione delle risorse e delle vie di approvvigionamento gas tramite il Tap di fatto aumenterebbero la dipendenza dalla Russia e Azerbaijan, due regimi autoritari ad alto tasso di violazione dei diritti umani.
Il recente studio condotto dal prestigioso OxfordInstitute for Energy Studies sulla disponibilità di gas azero da qui al 2030 ha conclusioni che sono nette. Allo stato attuale e fino a quella data, l'Azerbaijan non ha a disposizione le quantità necessarie all'esportazione di gas verso l'Europa, con forse l'eccezione dei Balcani, anche se i volumi disponibili sarebbero irrisori e non impatterebbero sul bilancio totale delle importazioni della regione. 

La produzione di gas azera, infatti, verrà assorbita in massima parte dal mercato interno, dalla Turchia e dalla Georgia. L'opzione di acquistare gas turkmeno è anche nulla, per l'opposizione di Russia ed Iran alla costruzione del Trans Caspian Pipeline. Tra parentesi, ci sono discussioni in corso tra azeri e Gazprom per riattivare l'esportazione di gas russo verso il Paese. 

Sarebbe paradossale se, alla fine, il gas che arrivasse nel Tap fosse quello di Gazprom...Se
Foto dalla pagina FB dei 99 Posse

combiniamo le difficoltà di estrazione di ulteriori quantità di gas con gli attuali bassi livelli di prezzo, la costruzione del Tap si dimostra completamente inutile, anzi, economicamente ed ambientalmente distruttiva: il solito "lock-in" tanto caro alla Commissione europea, nell'ossessione di "diversificare le fonti di approviggionamento" per ragioni esclusivamente geopolitiche piùttosto che energetiche. E per imporre la gabbia allo sviluppo di un modello energetica che sta avanzando con la produzione e l'autoconsumo di energia rinnovabili, l'efficienza energetica e la generazione distribuita. Una rivoluzione ormai in fase avanzata che non potrà essere ostacolata.

Una protesta che non difende solo gli ulivi secolari del Salento ma l’idea di un modello globale individuato negli accordi sul clima di Parigi per salvare il pianeta.